Un modo difficile di essere diverso            
                     
                     
    di Gigi Scarpa            
                     
    Forse fu proprio per Costantini che una volta, osservando una riproduzione di un impressionista francese, capii che se quel quadro aveva un valore, non solo storico, anche alcune delle opere dell’allora pittore veneziano appena conosciuto, non erano certo meno valide, meno significative. Anzi mi parevano migliori.
Né valeva la presente opposizione che, le sue, potevano essere “fuori tempo”, “inattuali nella cultura del momento”, “senza informazione”; perché invece esse erano nuove e vive nell’ordinato svolgimento del suo avviarsi all’arte dopo il tirocinio della scuola, frequentata con amore ed entusiasmo, poiché essa era ancora capace della sua vera funzione: ‘accompagnare una vocazione’ dando nozioni tecniche, pratiche e umane, necessarie ed essenziali per guidare all’arte un giovane intelligente, sicuro e dotato.
E uscito dalla scuola Costantini seppe infatti (dopo la lunga pausa della guerra) ordinare all’arte che voleva realizzare e la famiglia che coscientemente fondava con umiltà e fedeltà forte di una interiore preparazione spirituale dichiaratamente cristiana, e il suo lavoro nella scuola che doveva essere il sostegno della casa e della sua così più libera attività di pittore, quanto aveva fino ad allora imparato e vissuto.
Scrivo tutto questo proprio perché diventa oggi quasi eccezionale un percorso di vita limpido e sereno anche nelle difficoltà e nelle lotte per l’esistenza e la pittura dentro una forma o un aspetto che piuttosto concordemente ma anche superficialmente (se non stupidamente ) si può dire ‘borghese’. Ed è invece così facile (talvolta) fare gli antiborghesi, cercando nel disordine, o negli artifici, presunte libertà assolute o almeno ispirazioni o, meglio, eccitazioni, anche se forse – anzi senza forse – queste possono diventare esperienze ricche e feconde. Ma restare dentro i limiti naturali di un ‘umanesimo’ limpido e tradizionale può essere, ed è qualche volta, veramente coraggioso oltreché intelligente.
Se poi vado lontano nella storia dell’arte so che tale borghesismo è la sostanza certa della immensa ricchezza non solo degli anonimi pittori del primo medioevo, ma sicuramente dei grandissimi dei secoli seguenti (da Giotto a Tiepolo) giù, giù, almeno fino al romanticismo più rivoluzionario. Quante volte infatti Ernani mi ripeteva, in colloqui fraterni e attenti, davanti ai testi più attuali della pittura contemporanea, quanto sarebbe stato comodo (e quanto era facile) approfittare di una imitazione, cogliere dei motivi, liberarsi del vero, seguire una moda e non essere più se stessi; e non farlo invece proprio perché si è veramente persuasi della grandezza e potenza, poniamo, di Cézanne o Modigliani, di Picasso e Mondrian e in che cosa esse consistano; così, allora, questi grandi sarebbero stati amati e compresi veramente.
In fondo, mi si lasci una citazione quasi retorica, ma così valida: bisogna obbedire all’antico insegnamento “conosci te stesso” per essere veramente ‘se stessi’. A questa conoscenza è rimasto fedele Ernani Costantini, senza paura di essere isolato, o forse con paura ma senza transizioni, anche a Venezia sua città, e qualche volta dimenticato o sottovalutato. Sempre però fortunatamente libero. Per questo mi è caro, molto caro, anche lontano, tornare a scrivere di lui, come la prima volta nel 1954, ora che da quasi trent’anni lavora, oggi che vuole rivedere, ristudiare, valutare un arco di vita e di attività che gli sia di sprone a proseguire e certezza di non aver tradito entusiasmi e passioni di una vocazione struggente e magnifìca.
   
                     
    Ma dove trova Ernani le sue ispirazioni? Da dove viene il suo mondo poetico? E, possiamo anche dire, cosa vuole la sua pittura?
Dopo un primo momento, fuori dei muri di scuola, un’ansia viva della realtà dà ragione delle sue ‘note di vita’ quali appaiono continuamente attorno a noi dalla cronaca, dal cinema, dalla pubblicità. A questa attualità (o modernità) egli partecipa con le sue prime opere, accompagnate dalla passione rivelatrice per la musica più recente, più nuova, sostenuta da quella più segreta e più amata, ormai classica; dal jazz a Bach, da Mozart a Debussy che sono stati motivi specifici di ispirazione.
Ma subito apparirà un altro elemento più personale ancora a dire qual è la ‘pittura di Ernani Costantini’. Un mondo intimo e delicato, ricreato nello studio delle nature morte, degli interni, delle trascrizioni dalla poesia meglio conosciuta e più intimamente amata: i duecentisti e Montale, Dos Passos e Eliot sono gli autori che a quel tempo prediligeva, che conosceva a memoria, che assaporava continuamente.
Su questa costante si svolgerà tutta la sua attività, la sua ricerca e la sua creazione, dominata da quella interiorità e presenza religiosa ugualmente evidente e chiara nella tematica ‘sacra’, che costituisce un nucleo particolare notevole ed alto nella sua ormai ventennale storia. E su questo percorso, che può avere un diaframma ondulato di culmini e di cadute (li conoscono tutti gli artisti: quandoque bonus dormitat Homerus) cerco di segnare qui momenti, tappe, riprese, aperture.
   
                     
  La giornalaia
   
La Giornalaia, 1954
  Se la prima soddisfazione fu quella di essere selezionato al Premio Marzotto del 1954 con La giornalaia ancora fresca di colore, senza alcun dubbio un ancor più notevole risultato toccherà realizzando Caffè a Rapallo, una delle opere più belle e importanti non solo di Ernani, ma, lo credo proprio, di Venezia, in quello stesso tempo, almeno tra i giovani. Forse unica. Anche se ancora sconosciuto questo grande quadro del 1953/54 riassume ed apre una ‘caratteristica costantiniana’ molto importante. Esso è costruito compositivamente con una libertà che è intuitiva di quella per es. cubista o addirittura liberty, dentro un disegno sciolto completamente nel colore, che ha una delicatezza e un sapore montaliano, straordinario: la ‘signora’ in primo piano un languore ricco di poesia e di sentimento e una eleganza che è del tempo e dove la sua solitudine contrasta con l’allegra brigata dei monelli che suonano i loro surrogati di strumenti.   Caffè a Rapallo   Caffè a Rapallo, 1954
                     
    L’anno dopo dipinge la Maternità in tutto degna del ‘classicismo’ picassiano, forte e chiusa nel disegno, avvolta in un tono di colore grigio-rosa che la blocca in una interiorità che esprime insieme amore e dolore, fino a raggiungere una altezza rara in una unità formale e plastica, oso dire, eccezionale.
Così come i primi ‘ritratti’ mostrano una capacità fresca e sicura di rendere una realtà precisa, con una agilità di taglio e di stesura sempre notevole e resistente al tempo.
Nel Ritratto di G. S. le curiose strisce della giacca e le oblique delle membra in posa sono elementi formali caratterizzanti come lo stacco di tutta la figura sul fondo di un rosa delicato ed equilibrato con i bruni del primo piano volumetrico.
  madre con bambino al seno       Maternità, 1955
                     
vetrata romanica abbagliata dal sole
 
Toccata e fuga, 1957
  Nello stesso tempo la necessaria e naturale ‘scoperta’ dei più importanti pittori contemporanei – da Kokoschka, che lo impegnava nel ‘paesaggio’, a Picasso e Braque che lo avviavano a rinnovare le sue ‘nature morte’ – gli dava modo di affrancarsi dal vero, di impegnarsi con qualche esperienza ‘non figurativa’, ad avventurarsi verso una nuova realtà lirica tutta personale, interpretativa di temi diversi ispirati o dalla musica – (e Toccata e fuga è un quadro completo, attento e vibrante; e San Marco vi è si presente ma trasfigurato, nella luce dell’oro, in un canto esplosivo e unitario) – o suggeriti dalla poesia (e La lettura unisce in rara unità di colore, spazio e tempo con forza immediata e sintesi robusta) – o dall’architettura (e la trasfigurazione dell’interno di Taliesin West resta uno dei suoi quadri più importanti e significativi sia per il tono e la luce, sia per la ricreazione poetica del dato crudamente fotografico, conquistando un sentimento e una atmosfera piena di risonanze squisite e struggenti).
  interno della casa studio di Frank Lloyd Wright   Taliesin West, 1957
                     
    Sono opere che, con altre interpretazioni del vero e della natura (alcune libere costruzioni di ‘ficus’ furono, per un momento, un tema ripetuto e gustato) diventeranno argomenti o soggetti ‘tipici’ di Ernani, verso una caratterizzazione che non è mai sigla o formula, ma fresco slancio per dare alla natura e al vero (oggetto, paesaggio, persona) quella luce che è vibrazione e moto, spazio e tempo; un’anima, attraverso la quale il quadro è reale e fantastico, vero e astratto, ordine e libertà.
Ricordo un Ficus del 1957 costruito foglia su foglia in una ascensione architettonica, quasi una scala (come è quella della natura nel far crescere appunto su uno stelo le foglie), eppur continuamente leggero per il moto puntuale della luce, che dava sostanza e forza alla dura foglia della pianta elegante e insieme ne conservava il lucore e la forma. Un quadro impostato su una lezione in qualche modo cubista, senza perdere mai verità e spontaneità, senza mostrare un programma o una qualche imitazione, capace di conservare col vero un ordine nuovo di ritmo e di colore, di forza e di luce, per raggiungere, unica, una forma personale e libera che era (ed è) il suo valore.
   
                     
natura morta con giornali e libro di Eugene O Neil
 
Strano interludio, 1954
  Così vorrei definire alcune fra le ‘pagine’ più importanti di Ernani, quali sono state, ieri Composizione con i giornali tutta azzurra , Morte nel pomeriggio (variazione in chiave cubista del più vecchio Strano interludio), Omaggio a Dos Passos e molte delle sue ‘nature morte’, fino alle più recenti a cui ha saputo accordare con una luce trasparente una larghezza di spazio che le fa colore e disegno in un modo compositivo nuovo e dove, l’ispirazione, che si potrebbe definire di derivazione estremo-orientale, è ormai dominata in una assoluta interiore originalità, che non permette più citazioni di fonti. Tra queste ultime pitture mi paiono più alte, seppur tanto semplici e perfino apparentemente immediate, L’ulivo, Qualche patata e I mandaranci.
Mentre senza timore e con un impegno che è morale oltreché ideale – e perfino polemico con un mondo di cui certo Ernani conosce la drammaticità e la violenza, l’ansia di rinnovamento e l’utopia rivoluzionaria, e per questo vuol donargli la gioia del colore, della luce, della natura (gioia che per lui, come per me, è dono di pace, è speranza, certezza) – con questo impegno Ernani ritorna al ritratto, al nudo, dai quali trarre una uguale serenità e una uguale gioia. Ma calandovi talvolta anche un’ansia interiore che anima il personaggio, come in quel nudo su fondo rosa, dando alla stupefatta solitudine della donna nel vasto spazio attorno, un peso doloroso anche se dentro un disteso equilibrio.
 
natura morta con bottiglia di gin   Omaggio a Dos Passos, 1958



         
ulivo, natura morta   L’ulivo, 1968
         
I mandaranci, natura morta   I mandaranci, 1971
                     
    Sottolineare poi, non a parte, ma per un rilievo particolare, quanto Ernani ha dato e realizzato nel campo del ‘soggetto religioso’, è, mi sembra, una eccezione da scrivere. E ho scritto ‘soggetto religioso’, perché in certo modo perfino ‘romantico’, tutta l’arte è sacra, ma particolarmente per lui, proprio per come ogni volta rende sacra e cioè quasi offerta a Dio, prima che agli altri, ogni sua opera, come riconoscenza alla Sua creazione e allo splendore di essa.
Egli cerca di conservare tale senso sacro anche ai più difficili (forse) ‘soggetti religiosi’, tanto spesso decaduti perché sottratti alla grande tradizione dell’arte religiosa così ‘esemplare’ e sicura nella sua storia.
Ed è una ‘storia’ tipica nel cammino del pittore, che rivela impegno e coraggio e, senza dubbio, quanto più l’opera è liberamente commissionata e accettata tanto più forte risulta il suo carattere religioso, tanto più ricca e originale la realizzazione e, infine, tanto più valido l’apporto perfino all’educazione religiosa del popolo, per diventare, come fu, anche ‘educazione all’arte’.
   
                     
    Inizia con la ‘avventura’ del San Giuseppe che doveva entrare in umile silenzio alla Madonna dell’Orto e che trovò invece stolide opposizioni nella retorica di un mal inteso e falso rispetto del passato. Era sì un quadro logicamente e naturalmente impostato secondo un giusto criterio attuale, con libertà di colore e di composizione, ma che pure rivelava una continuità caratteristica con la ‘pala’ tradizionale (il santo in primo piano e sullo sfondo scene della sua vita) dentro forme espressive attuali – e forse si poteva discutere sull’unità tra un certo ‘verismo’ (comandato) del volto di S. Giuseppe (finalmente giovane uomo con il bambino irrequieto tra le braccia) e gli episodi del fondo, più liberamente inventati, fino a una certa ‘astrazione’.
Però rimaneva opera degna perché ordinata ed efficace, rispettosa del soggetto e del luogo a cui era destinata, con bellissimi particolari talvolta perfino ‘antichi’, come gli attrezzi del falegname, quasi direi ‘tintorettiani’.
  san giuseppe col bambino gesù       San Giuseppe col Bambino Gesù, 1955, Istituto Costantino, Mirano
                     
    Voglio ricordare una Via Crucis (oggi nella chiesa del Seminario di San Vito di Cadore) di disegno astratto e simbolico che Ernani dipinse qualche tempo dopo, modulata di grigi e di violetti, preparazione direi, a quella per San Canciano (simile a quella dei PP. Cavanis già A.C.) organizzate in terzine felicissime su quattro toni fondamentali ed espressivi: il rosso-rosa, il giallo oro, il viola, il grigio e il nero, simboli di facile lettura della condanna, dell’amore, della malinconia, fino al buio del sepolcro.
Ci fu poi la grande Crocifissione (ora a Reane di Auronzo) a proposito della quale mi paiono sempre valide le parole che scrissi nel 1957 e che voglio ripetere: “… con le altre figure e la Maria Maddalena così chiara nella costruzione e nel colore e così chiusa nella sua forma sempre attuale, e il suo spazio dentro rapporti attentamente geometrici, la pala … mostra l’urgenza del pittore di seguire, in modo libero e personale, la lezione semplificatrice ed architettonica di un particolare astrattismo”.
Il quadro fu preparato con ‘appunti’ e studi di Crocifissi diversi, tra i quali la Pietà di casa M.C., così essenziale, così severa e così delicata insieme. Soprattutto, come la pala, senza retorica di gesti o di colori, ma come quella, e più ancora, chiusa nel monocromato espressivo di un dolore infinito. E merita qui ricordare il piccolo Sacro Cuore di mia proprietà in cui Ernani poté finalmente rompere il sentimentalismo fisico di questo difficilissimo tema dipingendo un solo grumo di sangue e qualche spina più intuibile che definita sul fondo oro che lo nobilita.
  il cireneo aiuta gesł a portare la croce   Via Crucis, V, 1956, chiesa di San Canciano, Venezia
                     
    Tra il ‘64 e il ‘68 è il momento delle grandi composizioni murali nella chiesa di Sacca Fisola a Venezia, di Altobello e Bissuola a Mestre e Sant’Agnese ancora a Venezia. Opere che impegnarono il pittore per mesi e mesi, sia per la preparazione e il concepimento delle idee, la stesura dei disegni di studio, la ricerca delle soluzioni compositive, non certo semplici perché obbligate all’architettura, prima di aggredire con entusiasmo ma anche con tremore le enormi superfici delle pareti nude.
Abituati come siamo al quadro da cavalletto, sempre modesto nelle proporzioni, si poteva credere che alcuni dei più singolari caratteri del pittore e alcune particolari e originali qualità – freschezza e luminosità, spazi mobili e incastri dei piani e dei volumi nella luce – si perdessero nelle estese composizioni. Mentre, studiate attentamente, si ritrovano con eguale tocco, con eguale lirismo, con eguale spirito. Basta ripercorrere nella vastità di ogni composizione e nel suo moto, l’idea rappresentata e rappresentativa, gustarne lentamente i ‘momenti’ e allora si rivedranno tutti i suoi quadri più vecchi e quelli futuri.
   
                     
resurrezione di cristo e comunione dei santi
 
Resurrezione di Cristo e comunione dei Santi 1964, S. Gerardo Sagredo, Venezia
  Nella Resurrezione di Sacca Fisola è evidente e importante l’ascendere della composizione verso l’enorme Cristo del gruppo dei Santi a sinistra, con ottimi particolari e il suo discendere fino ai personaggi dei ‘nostri giorni’ (tra i quali Ernani voleva mettere anche Chaplin quale donatore di gioia), che ci danno una serie di ritratti ideali (ed anche fisici) assai significativi del pensiero dell’artista in un rinnovato ‘anacronismo’ così caro e frequente fra gli antichi.            
                   
  Ho seguito assai da vicino il nascere dell’Assunta di Mestre (partiva con slancio ed entusiasmo dalla Sposa felice di Arturo Martini) nella difficile spirale della composizione, obbligata dalla curva e dalle finestre della cappella e so cosa volle dire la ricerca di questa sintesi amplissima (nelle misure enormi) delle figure nella luce che le costruisce e le tiene nell’aria sospese e felici. Forse ancora più riuscito è il San Girolamo Emiliani nella stessa chiesa, anche per la varietà degli episodi, che alleggerivano la soluzione del problema dello spazio e della stessa composizione, con la maggiore mobilità dei colori variati, sottolineando così particolari da antologia (gli ‘appestati’ – legati a tragici momenti recenti e attuali – il bel paesaggio di Quero, vivo ed esatto). Sicuro e pertinente anche l’innesto delle scritte “come facevano gli antichi” ci ripetevamo.  
vita di san girolamo       San Girolamo Emiliani, 1966, Cuore Immacolato di Maria, Mestre
         
storie di maria       Storie di Maria, 1968, Cuore Immacolato di Maria, Mestre
         
                     
                     
Ultima Cena, 1968
S. Agnese, Venezia
  ultima cena, venezia            
                     
                     
    Più tradizionale la composizione orizzontale e quasi frontale dell’Ultima cena in Sant’Agnese. A me che gli opponevo il pericolo di essere (e non è) troppo ‘classicheggiante’ e costretto a una espressione ancora castagnesca o raffaellesca – irripetibile – Ernani coscientemente mi ribatteva: “Devo forse aver paura? Non ho timore se nei miei Apostoli e nel mio Cristo alcuni crederanno di rinfacciarmi tali lontani modelli. Per secoli così è stata dipinta la Cena, ogni volta nuova, nonostante tutto, … ma sono stato anche capace di liberarmi di questi schemi, come in quella che conosci, centralizzata attorno alla mensa rotonda, che è a Bissuola”. (E io so – voleva dire – e tento oggi, con la mia libertà e col mio mestiere e soprattutto con il mio impegno intimo, di immaginare e realizzare un Cristo eucaristico, gli Apostoli cori i loro volti diversi – e anche uguali per la stessa fede stupefatta e commossa perfino in Giuda.   ultima cena, bissuola   Ultima Cena, 1967, S.Maria della Pace, Mestre
                     
    E in mezzo a queste opere ce ne stavano altre più intime, più scavate dentro personali interessi emotivi e plastici sempre con ideale destinazione religiosa: I pani e i pesci su cui scende una luce miracolosa e lo sfortunato (tanto mal capito) Emmaus che tante volte, nei volti, nel contrasto dei due toni fondamentali del colore, nelle composizione libera – “sono spinti dal vento dello Spirito” – mi richiamavano ad esemplari rembrandtiani, anche se indistinti alla memoria.   I pani e i pesci   I pani e i pesci, 1959
                     
    Più lontana nel tempo, ma non la voglio dimenticare, l’Annunciazione del 1955 con un bellissimo Angelo dominante nella luce che investe lo spazio: una delle opere disegnate con una precisione attentissima eppur delicatissima, senza turbamenti per il colore.
Perché anche per Ernani il disegno (più segreto e poco conosciuto) è rivelatore delle sue qualità, soprattutto della preparazione ai ‘temi’, dello studio dei particolari (ricordo quelli per il ’giglio’ della citata Annunciazione, eccezionali di purezza e di sostanza plastico-formale) e delle composizioni, anche se tante volte gli viene spontaneo entrare nel quadro ‘affrontandolo’ direttamente sulla tela. Ma non mancano ottimi esempi di quanto il suggerimento o l’idea (commissionati o scoperti e sentiti improvvisamente) siano studiati, guardati e ricercati con il mezzo più rapido, vario, del disegno, che è sempre fondamento alla tecnica dell’arte.
Né il discorso è finito, perché (lo leggevo qualche giorno fa) come diceva il vecchio Kokoschka, ridisegnava La notte di Michelangelo, “al vero artista occorre sempre imparare” e anche Costantini non rifiuta certo questo insegnamento: da tutto si può e si deve imparare: dal passato e dal presente, dall’arte consacrata e dalla vita di ogni giorno, dalla natura e dalla tecnica e tutto calare nel proprio spirito, farne corpo e anima del proprio sentire per riconsegnarlo, trasfigurato da una personale ‘poesia’ agli altri come dono e come grazia.
Così si potranno considerare altri aspetti non minori per capire come Ernani crea la sua pittura. Accanto alle conoscenze tecniche c’è un attento, continuo personale studio dell’arte (storia e critica) reso più vivo dall’urgenza di trasmetterlo ogni giorno ai suoi allievi.
Quante volte l’ho sentito parlare delle sue ‘lezioni’ con metodi e argomenti che rivelavano
passione, gusto, sensibilità e perfino commozione di fronte alle più spontanee ‘risposte’ degli allievi. Così come è importante il suo stesso esercizio critico, dedicato a un’arte, abbastanza vicina alla pittura, come è il cinema, che diventerà spesso, nel suoi personaggi, nei suoi ‘fotogrammi’ occasione di ispirazione e talvolta di insegnamento anche per lui. E se in una recente ‘comunicazione’ ad un gruppo di docenti ha parlato del ‘disegno’ e del ‘gesto’, so quanto più vera è la sua esperienza, perché accanto al disegno, anche il gesto (in gioventù nel teatro per es.) lo definisce spesso nella sua personalità.
Sono elementi che concorrono a realizzare non solo la sua personalità con esperienze varie e stimolanti, ma contribuiscono all’ultimo scopo della sua vita – ed è il primo: quello di tradurre la sua vita nella confortatrice bellezza della pittura – “Voglio donare gioia” è una sua parola sincera e rivelatrice. Una volontà, perseguita con fiducia e sacrificio da Ernani Costantini.
   
                     
       
Gigi Scarpa
           
       
Marsiglia, febbraio 1973
           
                     
                     
                             
                             
  © Famiglia Costantini